La facies di Palma Campania
E’ ben noto che la Piana campana ha subito innumerevoli volte, nell'arco di alcune decine di migliaia di anni, eruzioni vulcaniche (dai Campi Flegrei, dal Somma-Vesuvio e dal Roccamonfina) che hanno sconvolto l’ambiente e modificato la vita degli abitanti e degli animali in una drammatica istantanea. Senza fermarci sulla più nota eruzione del 79 d. C. molte altre eruzioni hanno "fossilizzato" il territorio sotto notevoli spessori di pomici e di ceneri.
Una delle eruzioni più catastrofiche si abbatté sulla regione nella prima del XX secolo a.C, allorché era densamente popolata da genti dell'Età del Bronzo antico.
Questo evento ridisegnò gli equilibri economici e sociali di una vasta area, seppellendo sotto uno spesso deposito di materiali piroclastici i numerosi e fiorenti insediamenti della Piana Campana.
Questi occupavano villaggi non molto distanti gli uni dagli altri; erano perlopiù ubicati in pianura vicino a grandi arterie di comunicazione che saranno millenni più tardi ricalcati dalle vie romane.
Anche le colline che controllavano i passi erano sede di piccoli abitati. Va segnalato, tra altri, il villaggio di Montellino.
Tutti i siti appartenenti all’orizzonte di Palma Campania rispondevano ad un’esigenza primaria delle popolazioni che li abitavano: la possibilità di avere suoli fertili e un buon approvvigionamento idrico, elementi alla base di un’economia di stampo agricolo e pastorale.
Dagli anni ’70 del secolo scorso, ricerche mirate ma anche scoperte casuali hanno riportato in luce alcuni di questi villaggi ma anche le aree di necropoli e in rari casi alcune vittime umane dell’eruzione uccisi durante la fuga.
Le società della Preistoria e della Protostoria ricevono un nome dagli archeologi. Questa società coinvolta dall’evento vesuviano è stata chiamata la cultura di Palma Campania, e l'eruzione pliniano è detta delle Pomici di Avellino in quanto i venti dominanti spinsero le nubi di piroclastiti in direzione della città irpina. Questa società era caratterizzata da una vita contadina dove l’agricoltura e l’allevamento avevano un ruolo determinante. Il mondo agricolo contemplava anche una qualche forme di transumanza a breve raggio, l'uso di carretti a ruote, la concimazione di campi che erano generalmente di forma allungata in prossimità degli abitati.
La produzione ceramica di Palma Campania è caratterizzata da una uniformità tecnica, da una stretta varietà tipologica e da un ingente numero di vasi per tipo.
La vita di villaggio non escludeva l'artigianato (lavorazione del metallo).
La prosperità di cui dovettero godere i villaggi del periodo è testimoniata dalla riguardante quantità di reperti in metallo (soprattutto asce) accumulata nei ripostigli di questo orizzonte cronologico.
La catastrofica eruzione delle Pomici di Avellino si abbatté sul territorio verso 3550±20 BP, allorché la Piana Campana era densamente popolata da genti dell'Età del Bronzo antico. La loro cultura è stata chiamata la cultura di “Palma Campania” a causa del ritrovamento casuale nel 1972 di un settore di capanna durante lavori della costruenda autostrada A30 all’altezza di Palma Campania (loc. Tirone).
Ulteriori scavi hanno permesso di definire nei vari particolari questa società evoluta legata ad una matura vita di villaggio. Numerosi insediamenti sono stati individuati in Campania sia in aree pianeggianti che su basse colline. Una qualche forma di artigianato era sviluppato, forse già la lavorazione della ceramica e del metallo. L’attività del contadino era parallela a quella dell’allevatore di bestiame con una probabile pratica della transumanza a medio raggio. L'uso di carretti a ruote è anche attestato come la consuetudine della concimazione dei campi. Conosciamo anche grazie all’indagine paleobotanica quali erano le cereali coltivate (grano, orzo, miglio, avena) e la frutta consumata (nocciole, uva, prugnolo, ghiande di quercia, oliva, mandorla).
I resti faunistici e quelli di pasto sono riferibili principalmente ad ovicaprini (Ovis aries L. e Capra hircus L.), a suini (Sus scrofa L.) e, in percentuale minore, a bovini (Bos taurus L.). Scarsi sono i resti ossei relativi al cane (Canis familiaris L.) e quelli riferibili agli uccelli; era cacciato il cervo (Cervus elaphus L.) e verosimilmente anche il cinghiale (Sus scrofa ferus).